Estratto 1
Roma, gennaio 1998
Eva invitò Nathan ad accomodarsi su una delle sedie del camerino.
«Finora ho fatto solo teatro.
A differenza tua, non ho idea di come muovermi davanti ad una telecamera, ma Vincenzo continua a
ripetermi che non devo preoccuparmi» spiegò al collega.
Allungò
una mano e frugò nella borsetta, tirando fuori una stecca integra di cioccolato
fondente. La scartò.
«Ne vuoi, Nathan?»
Lui
accettò volentieri. Non doveva essere una di quelle tipe tanto fissate con la
linea se girava con il cioccolato nella borsa. Questo propendeva a suo favore.
Le fissò le labbra carnose e morbide. Doveva ammettere che era carina. Una
bellezza italiana fuori dai classici canoni hollywoodiani. La particolare voce,
appena roca, e il suo modo di muoversi calmo le donavano un fascino molto
personale.
Eva
assaporò il cioccolato, continuando a guardare in silenzio l’attore americano.
Aveva proprio un’aria arrogante. La maniera in cui la fissava, il modo in cui
continuava a giocherellare con l’accendino, facendolo scattare di continuo, la
indispettivano. Il fatto che non si sforzasse di dialogare con lei, rasentava
quasi la maleducazione. Si domandò sul serio come avrebbe fatto a sopportarlo
per tutta la durata del film. Decise di fare un ultimo tentativo.
«Vuoi sentire una storiella, Nathan?»
«Perché no?»
«Un uomo va dallo psichiatra. Dottore,
la prego mi curi, sono sicuro di avere un disturbo della personalità. Credo di
essere l’Onnipotente. Il medico cerca di tranquillizzarlo. Non salti a
conclusioni affrettate, qui le diagnosi le faccio io. Si stenda sul lettino e
cominci a raccontarmi dall’inizio. Allora il paziente segue il suo
consiglio, si distende e inizia: Dunque, in principio ho creato il cielo e la terra…»
Nathan
scoppiò a ridere di gusto, sorpreso dall’interpretazione perfetta e
dall’imprevista piega ironica della ragazza.
Lui
aveva una bella risata, notò Eva. I denti bianchi spiccavano sulla carnagione
abbronzata e creavano uno splendido contrasto con la barba lunga di un giorno,
scura come i capelli e come gli occhi.
Si
studiarono a lungo, con meno sospetto. Nessuno dei due distolse lo sguardo. Un
inatteso senso di confidenza fluì tra loro.
Nathan
le strizzò l’occhio in segno di complicità. Lei arrossì e abbassò la testa. Non
arrossiva più nessuno alla fine del ventesimo secolo, rifletté stupito.
Eva
rialzò lo sguardo e gli sorrise.
Come
un raggio di sole che sbuca da un cielo plumbeo e nuvoloso, la stanza cambiò
aspetto e parve riscaldarsi.
Colto alla sprovvista, lui sgranò gli occhi.
Cazzo! Vincenzo Raimondi aveva
proprio ragione.
Estratto 2
«Nathan» lo richiamò Eva, in un sussurro.
L’attore alzò il viso per guardarla ma le iridi color ematite per
le quali era tanto famoso, erano distanti.
Lui conosceva bene quella sensazione allo stomaco, così come il
senso di gelo che si stava impadronendo del suo corpo. Erano le premesse che
accompagnavano le sue notti insonni. Insieme a Jeff, aveva incontrato lo
psicologo che seguiva i volontari e che cercava di presentare nei dettagli ciò
che andavano a incontrare.
Non era stato preparato a sufficienza a ciò che aveva visto, però.
Si era trovato catapultato d’improvviso in un mondo di sofferenza inspiegabile
che lo aveva colpito in profondità, incrinando il cinismo di cui spesso si circondava.
«Sai che oggi hai conquistato molti cuori? Anche se magari non erano proprio
le bellissime ragazze cui sei abituato» scherzò Eva, nel tentativo di
alleggerire la tensione.
Nel denso silenzio che si venne a creare, lei percepì la profonda
angoscia dell’amico.
«Non devi sentirti così. Quello che hai fatto, che avete fatto tu e
Jeff, non hai idea di quanto significhi per loro» aggiunse, con profonda empatia.
Posò la sua mano su quella dell’amico e gliela strinse per
trasmettergli la propria solidarietà e fermare quella tortura.
Con un gesto brusco, Nathan la ritrasse e si passò entrambe le
mani fra i capelli. Gli occhi fissi sul tavolino, i capelli gli ricaddero ai
lati del viso celandogli il volto.
Colta alla sprovvista dalla sua reazione, Eva abbassò lo sguardo
in imbarazzo.
Ma che aveva combinato lo psicologo in quell’incontro
preparatorio? E che doveva fare adesso lei?
«Va tutto bene, Nate. È normale reagire in questo modo le prime
volte» lo rassicurò, sfiorandogli una spalla per rincuorarlo.
«Come fai a vedere questo tutti i giorni, Eva?»
Era stato il suo martellante pensiero ogni volta che incontrava il
viso di uno di quei bambini e i loro occhi pieni di saggezza e dolore ma anche
capaci di gioire per degli stupidi scherzi da clown.
Sorpresa dalla sua inaspettata sensibilità, le parole le uscirono
di getto.
«Sembra che i medici si dividano in due categorie. Quelli che si
abituano a tutto e diventano distaccati e quelli che non si abituano mai. Io
non rientro nella prima» affermò pacata. «Il giorno che ci siamo scontrati
sulla spiaggia, non ti avevo visto perché ero sconvolta. Durante la notte
Megan, una mia paziente, non ce l’aveva fatta. Era morta dopo mesi di cure e
aveva solo due anni» deglutì con difficoltà, cercando di ricacciare indietro il groppo
di commozione salito in gola.
Toccato da quella confessione, Nathan tornò a guardarla. Si era
domandato spesso nelle ultime settimane cosa l’avesse spinta a cambiare genere
di vita, scegliendo quel lavoro così difficile. Sentire tanta forza e fragilità
convivere in lei i quel momento, gli trasmise una sensazione indefinibile.
In silenzio, lasciarono calmare le loro emozioni. Eva si spostò
verso di lui con la sedia per poterlo guardare in viso, cercando di
trasmettergli ciò che sentiva.
«Ci sono questi momenti terribili ma quando si riesce ad alleviare
la loro sofferenza o magari a guarirli, come nella maggior parte dei casi,
allora si è in parte consolati per tutto il dolore di cui siamo testimoni
impotenti. E farli ridere e divertire, credimi, a volte è meglio di tante
medicine. Sei stato davvero bravo.»
Lui si ricompose, maledicendosi per quel momento di debolezza e
rimase stupito dalle parole di Eva.
«In realtà ero imbarazzatissimo» trovò il coraggio di ammettere. «A un certo punto mi sono anche domandato cosa diavolo stessi facendo.
In fondo, so soltanto fare il buffone di mestiere.»
Arrivarono le ordinazioni a interrompere quel momento di
confidenze. Per sdrammatizzare, lui cominciò a canzonarla per la doppia
porzione di crema sopra la fetta di torta mentre le porgeva teiera e tazza,
cercando di non rovesciare il proprio caffè.
«Scusami per la mia reazione» si giustificò ancora Nathan. «Gli ultimi tempi sono stati difficili sotto tanti aspetti. Forse
non ero ancora pronto per un’esperienza del genere» affermò, mescolando lo zucchero nella sua bevanda.
«Non preoccuparti. Dovresti vedere me quando sono in crisi» sdrammatizzò lei. «Adesso, come ti senti?»
L’amico avrebbe voluto risponderle male ma, in effetti, se
analizzava con attenzione il proprio stato d’animo non era così.
«Non so. Confuso per quello che provo. Triste per quei bambini.
Arrabbiato per tutto quel dolore. Forse anche appagato. Incredibilmente
appagato per aver fatto il buffone» si rese conto con stupore.
«Benvenuto nel club, allora» scherzò Eva, dandogli una pacca complice sulla spalla.
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