giovedì 8 aprile 2021

La vostra voce: "Professione pendolare" di Viviana Albanese

Buongiorno cari lettori, eccoci a un'altra tappa della rubrica "La vostra voce" , un'idea nata in collaborazione con il blog Un tè con la Palma, per dare voce e spazio ai vostri scritti.

Oggi vi parleremo di "Professione pendolare" di Viviana Albanese.




TITOLO: Professione pendolare
AUTORE: Viviana Albanese
ILLUSTRAZIONE IN COPERTINA: Monica Parodi
CASA EDITRICE: Puntoacapo, Pasturana (AL) 2018
GENERE: narrativa contemporanea
LINK D'ACQUISTO: ebook; cartaceo;







Una ragazza, un treno (più di uno) e una stramba famiglia tutta al femminile.
C'è chi viaggia tutta la vita ma non va da nessuna parte. È la vita del pendolare: ogni giorno treni, metropolitane, tram, ogni giorno la stessa strada per centinaia di chilometri senza raggiungere mai nulla di nuovo.
E questa è anche la vita di Cali; trentenne piemontese intrappolata nel mestiere di pendolare, alle dipendenze del Diavolovesteprada, con un segreto scritto sulla pelle, che nasconde vestendo sempre maglie a maniche lunghe, e una famiglia difficile da gestire: una madre instabile e un padre che è ormai solo un'ombra del passato.
Tra un treno in ritardo e una galleria spassosa di personaggi tanto incredibili quanti veritieri, Cali cerca di sopravvivere alla vita quotidiana e di non spezzare l’equilibrio, seppur precario, della propria esistenza.






Ecco 𝟱 buoni 𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗿e il romanzo: 

1. Perché Cali potrebbe essere ciascuno di noi: in bilico tra la tragedia della vita personale e la commedia della vita del pendolare
2. Per capire dove e come si può nascondere il dolore, anche quando tutto sembra normale
3. Per ridere a crepapelle ma con il retrogusto amaro durante i viaggi in treno con Cali
4. Per "viaggiare" in treno insieme a personaggi buffi e particolari ma anche molto aderenti alla realtà
5. Per entrare nella vita di Cali e della sua famiglia tutta al femminile, e capire cosa non riesce ad affrontare e perché







Estratto 1:

È così ogni volta che si prova una nuova sensazione, soprattutto quelle forti: da principio non siamo in grado di dar loro un nome e ci lasciano sconvolti e smarriti, ma quando si comincia a chiamarle col loro nome, solo a quel punto, fanno meno paura.

Estratto 2:

– Che lavoro fai tu? – mi chiede.
– La pendolare. –
E lui scoppia a ridere.
– Non c’è niente da ridere – dico io e finisco la birra del mio bicchiere.
– Non è un lavoro.
– Uh… lo dici tu perché non lo sei. –

Estratto 3:

Lunedì 16 aprile 2018

 

Primo giorno di fiera col Diavolovesteprada. Primo giorno di ciclo.

Sono sicura che Amelia mi direbbe che siamo nate per soffrire. E mia madre pure. Che io mi ricordi questa frase è sempre stata associata all’essere donna. Non sono certa che lo dicesse anche prima, quando c’era ancora mio padre. In un certo senso ho rimosso molti ricordi di quel periodo. L’infanzia non ha lasciato segni profondi dentro me. L’adolescenza invece li ha lasciati anche fuori, non solo dentro.

Ad aggravare la mia situazione ci sono i tacchi di ordinanza; non si può andare a questi eventi senza tacchi, trucco e abito adatto. Lei pretenderebbe che io lo facessi anche in ufficio ma nel quotidiano lavorativo è meno rigida, soprattutto quando le devo correre dietro in giro per Milano. Qui mi tocca invece esibire tacchi possibilmente sottili e senza zeppa, e vestiti o gonne. Non vuole vedermi in pantaloni, dice che non ho nulla da fare oltre a camminare e quindi non è necessario che mi conci come un uomo.

Potrebbe essere anche interessante la fiera, se fosse il mio lavoro, se mi interessasse quello che faccio, ma non è così. Sono qui solo per organizzare e renderle più semplice la giornata, tutto il resto sono fatti suoi.

Così trascorro la giornata a seguirla, annuire, sorridere, andare a cena e non poter ordinare birra. Si beve acqua o vino, e non si mangia nulla che non sia elegantemente disposto sul piatto. Questo vuol dire che, nonostante ci troviamo in Germania, niente pub, niente würstel, stinco o birra… Tutto questo mi sembra un delitto, ma devo sopportare. Mi paga bene ed è l’unico motivo per cui lavoro per lei.

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