Buongiorno cari lettori, eccoci a un'altra tappa della rubrica "La vostra voce" , un'idea nata in collaborazione con il blog Un tè con la Palma, per dare voce e spazio ai vostri scritti.
Oggi vi parleremo di "Varaldien" di Lara D'Amore.
Editore: Triskell Edizioni
Genere: Fantasy - MxM
Lunghezza: 208
"L'umanità ha sofferto abbastanza"
Questo è ciò che la dea Gaia, signora della Terra e della Luce, rivela agli Indovini nella notte in cui nasce il suo prediletto, nel potente e florido regno di Varaldien.
Il principe Kalahm Aliker cresce e matura come guerriero, nella certezza della fede negli dèi e un sacro ruolo a gravargli sulle spalle. Suo è il compito di condurre a Varaldien gli Evocatori della Luce, semidei gemelli figli di Gaia, affinché il loro potere divenga fulcro di una nuova era per l'umanità.
Forte del suo credo e della sua forza dovuta in parte alla veste di Prescelto, parte con un gruppo scelto di soldati per il Gran Deserto di Mohal alla ricerca del tempio di Gaia occultato agli occhi umani. Insieme a lui, in quest'impresa si immolano i fidi alleati di una vita di battaglie: il fedele barbaro Reven di Mòrekr, la temeraria sorella minore Tara Aliker, il folle e ingestibile Zoral Reid e il misterioso Martien Renard. La fede negli dèi accompagna Kalahm nel viaggio, così come la fortuna. Finché l'incontro con Kyal, l'Evocatore ribelle, gli strappa via dal cuore qualsiasi consapevolezza.
Una vita nella fede, o una morte in nome della libertà? È davvero giusto che il destino venga scritto dagli dèi? Per Kalahm la verità si cela infida tra le sabbie del deserto.
Dal viaggio in cui le amicizie, gli inganni e gli amori impossibili si intrecciano fatalmente, ha inizio il tempo del riscatto degli uomini. Il tempo del Caos. Il tempo in cui il Bene e il Male non sono più i vessilli di una parte solamente.
Ecco 5 buoni motivi per leggere il romanzo:
1. Per un viaggio in un mondo fantastico con uno stile poetico e scorrevole.
2. Per i messaggi sulla libertà di cui si fa voce ogni personaggio, attraverso le sue sofferenze e le sue vittorie.
3. Per le emozioni che rendono grandi dei reietti e fragili degli eroi.
4. Per i tanti colpi di scena e l'originalità che, pagina dopo pagina, ti trasporta fino all'ultima parola del libro.
5. Perché si narra di una saga epica, di un'epoca antica eppure tanto attuale nelle tematiche, in cui i cui protagonisti principali sono vicini al mondo LGBT.
Estratto dal Prologo:
E mentre i fratelli si congedavano dallo sguardo di pietra della Triade, il guardiano percepì un ultimo, spiazzante, mormorio. Non era una voce. Non una sola. Erano a centinaia.
E verrà il Caos.
Verrà al mondo da un grembo maledetto. Protetto da una culla di sventura.
L’Indovino aspettò immobile il ritorno dei fratelli nella stanza, ma i loro passi divennero un tutt’uno con la calma del tempio. Nessuno, tra loro, fece ritorno nella Camera delle Profezie. Nessuno aveva sentito quelle voci.
L’ultima profezia non era stata condivisa.
Era sua. Soltanto sua.
Estratto dal capitolo due:
«Cessa ogni ostilità, Evocatore!» dichiarò. «Non siamo qui per offendere la dea Gaia, ma per onorarne la volontà.»
Per quanto pacato fosse nel tono, Kalahm ebbe comunque l’impressione di aver dato alle parole la stessa arroganza di una spada puntata dritta al petto. Prova ne fu che la mistica creatura fermò la sua avanzata a mezz’aria e posò i tacchi al suolo, scatenando vibrazioni per l’intera sala in segno di minaccia.
«Tu, uomo, mi stai dando degli ordini?» inveì, furiosa. «Come osa, un impuro, darmi degli ordini?»
«In verità, l’impuro che incolpi di oltraggio è il solo uomo su questa terra a cui è concesso un simile vanto,» ribatté Zoral, con un’indelicatezza che Kalahm avrebbe evitato volentieri.
Sentì lo sguardo sprezzante dell’Evocatore perforargli il cuore, sotto quel cappuccio che gli nascondeva il viso; comprensibile, pensò il principe, considerando che per centinaia d’anni il contatto con qualsiasi essere mortale gli era stato proibito dalla dea Gaia a difesa della sua purezza. D’un tratto la stessa dea gli enunciava un editto completamente opposto, proprio per bocca di un impuro. E non uno qualsiasi. Era il principe Aliker di Varaldien a chiederglielo, condottiero del regno più a nord delle terre degli uomini, in netta espansione sul mondo che tanto proteggeva dalla distruzione e dalla violenza. A malincuore, Kalahm riconobbe in se stesso i tipici tratti del borioso e arrogante cavaliere affamato di gloria e si domandò come riuscire a convincere un essere tanto distante dalla sua cultura a credere in lui, nelle sue buone intenzioni tutt’altro che belliche. Tanto per iniziare, si disse che occorreva zittire la rude boccaccia di Zoral il prima possibile e per farlo si presentò, omaggiando il semidio con un sentito inchino nella speranza di smorzare la tensione.
«Il mio nome è Kalahm Aliker, principe di Varaldien,» disse. «Sono qui per condurre i due Evocatori della dea Gaia nel regno in cui vivo, a nord di queste distese di sabbia. Il re Adrien è onorato di accogliervi nel suo castello e vi omaggia di un tempio costruito in vostro onore da dove, si augura molto presto, svolgerete il vostro sacro compito.»
«Non c’è alcun valido motivo per cui io e mio fratello dovremmo abbandonare la nostra casa e condividere la stessa aria di una stirpe tanto inferiore alla nostra,» declinò l’invito l’Evocatore. Gelido e ferreo nella sua posizione, come del resto aveva previsto. Ciò che invece non aveva minimamente immaginato, fu la conseguente sfuriata di Zoral.
«È la tua mammina che te lo impone, zuccone di un sacerdote! Kalahm Aliker non è uomo come gli altri, lui è la voce della tua dea! E che ti piaccia o meno, da oggi in poi tu e il fratellino che nascondi da qualche parte qui dentro gli dovete totale obbedienza!»
L’indignazione fu generale, ma fu Martien il più lesto a reagire. Prese per il bavero il compagno marchiato di vera e propria eresia e lo sollevò con sorprendente facilità, a dispetto dell’altezza dell’altro. Solo che Zoral, invece di intimorirsi, parve eccitarsi.
«Ah, quanto mi piaci quando perdi il controllo, Splendore!» mugolò.
Martien arricciò le labbra sottili in una smorfia di disgusto.
«Non mancare di rispetto a un Evocatore, stupido d’un folle!» sibilò. «Anche se la tua mente è puro caos dovresti pur comprendere che sfidare troppo la pazienza degli dèi, un giorno ti costerà la tua insulsa vita!»
E Zoral gli sorrise, quasi avesse ascoltato dalle sue labbra la più intensa dichiarazione d’amore.
«Ti stai preoccupando per me?»
«Si sta preoccupando per tutti noi,» gli rispose Kalahm. Lo sguardo torvo che gli lanciò sembrò illustrargli la situazione a dovere, perché di colpo smise di vaneggiare.
Era chiaro a tutti loro che l’Evocatore li avrebbe affrontati apertamente. Questione di un paio di respiri e avrebbero assaggiato l’ira del più alto servitore di Gaia.
E quando le mani del semidio calarono il cappuccio, esponendo il volto protetto da sguardi per lui immeritevoli, per un attimo Kalahm Aliker credette di perdere la ragione.
Su quel viso c’era tutta la bellezza che non aveva mai conosciuto prima di allora. La bellezza di un mondo giusto e puro, che da quel giorno non sarebbe più esistito.
Estratto dal capitolo dieci:
Una bocca morbida lo baciò sulla fronte con l’intenzione di strapparlo ai suoi pensieri. Kalahm riaprì gli occhi e li puntò sul viso acerbo di Tara che torreggiava su di lui.
Arricciò il naso, solleticato dai lunghi capelli della sorella che gli piovevano addosso, dando al suo sorriso un accenno di amarezza che non c’era.
«Non disturbo se siedo accanto a te, vero?» chiese lei. Una richiesta inutile, constatò Kalahm, guardandola rannicchiarsi.
Per un po’, entrambi rivolsero il loro interesse alle tante stelle che quella notte arricchivano il cielo di Rualda. Un gufo tra le acacie iniziò il suo canto notturno, sovrastando il goffo coro di rospi che abitavano il lago. D’un tratto, il rapace spiccò il volo e gli anfibi cessarono il loro gracchiare. Sapevano che il nemico aveva dato inizio alla caccia e cercarono di scappare.
Kalahm seguì affascinato l’avventarsi del gufo su una vittima: preciso e rapido, con un solo attacco ne arpionò una nel mucchio, a filo d’acqua. Non le concesse neanche il tempo di capire che era giunta la sua ora e forse era stato meglio così, concluse il principe. In fondo quel rospo non avrebbe avuto modo di cambiare le sorti dello scontro.
Altrettanto colpita dalla scena, Tara si tirò su a sedere e indicò al fratello il punto nel cielo in cui il gufo planò trionfante.
«Cavoli, l’hai visto anche tu?» gli chiese. Lui annuì e la giovane si lasciò andare a un lungo sospiro. «Povero ranocchio, che destino crudele!» commentò.
«Il destino non è mai crudele,» le rispose Kalahm. «Certo, la fine che ha fatto il rospo sembra essere orribile e ingiusta. Ma se ci pensi bene, la sua morte salverà il gufo, anche lui in lotta per la sopravvivenza.»
Tara lo fissò con il conflitto dipinto sul suo viso acerbo.
«Questo è vero,» ammise.
Un sorriso benevolo affiorò sul volto di Kalahm mentre le rivelava quella che per lui era, nella sua durezza, la verità.
«Il male di uno si traduce nel bene per un altro. Il destino è unico per tutti.»
«Proprio per tutti?»
«Per ogni specie creata da Gaia. Animali, uomini. Persino Evocatori. Siamo tutti legati, Pulce. Legati da un destino comune che il dio Kronos custodisce nel suo sacro libro e che capiremo solo alla fine dei nostri giorni, al cospetto del dio Thanatos.»
«A volte vorrei che il destino non esistesse,» confessò Tara, giocherellando con i piedi sulla sabbia. «Non mi piace sapere la mia vita in mano agli dèi. Vorrei scegliere per me stessa e non perché mossa dai loro fili invisibili.»
Era la prima volta che Tara gli parlava in quel modo, eppure Kalahm sentì rimbombare nel petto l’intensità di parole che rammentava fin troppo bene.
Ribellarsi al destino. Scegliere chi essere. Sfidare l’ira di Gaia, di Kronos e di Thanatos in nome della libertà. Non era questo il pensiero di Kyal?
Nel cuore del principe si riaprì la ferita ancora troppo fresca, che riprese a sanguinare. Gli occhi ripresero a vagare nel vuoto, in cerca dello spettro del semidio caduto: era di nuovo precipitato nell’incubo.
Estratto dal capitolo extra:
Apri gli occhi, oro puro che splende d’improvviso su di me.
Troppo tardi per sfuggirti! Tanto vale restare immobile e aspettare che tu decida della mia vita.
Sbatti le palpebre pensoso e torni a guardarmi, algido d’odio, eppure è sotto i tuoi freddi soli che sento con forza che esisto.
Mi chiami, la tua voce è sdegno metallico. Io in cambio ti sorrido, perché non ho niente altro di buono da offrirti.
Ti sta graziando, Reid. Non ti ucciderà.
Certo, mie care. Lo sento anch’io, da sotto questa pellaccia bruciata!
Splendore non mi uccide e mai mi ucciderà. E sapete il perché? No?
Il vostro silenzio mi dice no. Ebbene, sarà questo figlio di pescatori a illuminarvi con la risposta all’arcano!
Martien sa. Sa di essere amato. In cuor suo sa che la mia non è ossessione, né volgare cupidigia. Sa che l’amo.
Perché, se non è amore, questo mio folle vivere di lui, allora non sono io a essere il matto.
Ma il mondo intero.
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